Dalle critiche verso alcuni progetti di design autoreferenziale fino alla cucina 2.0 condivisa sui social. Luca Nichetto ci racconta questo momento che è stato “come un gioco della verità accelerato dalla crisi”.

Come ha vissuto il lockdown?

Io sono a Stoccolma e la Svezia non ha fatto nessun tipo di lockdown, mi sono trovato in una situazione abbastanza strana nel vedere il mio paese di origine, l’Italia, con tutti i miei affetti chiusi in casa, mentre qui – a parte pochi suggerimenti di non creare assembramenti o cose simili – non è successo nulla. Ci siamo messi in autoisolamento, anche se intorno a noi non era così. I bambini sono stati a casa da scuola, per fortuna il mio studio dista cinque minuti a piedi da casa. Il contrasto che si è creato dal punto di vista culturale tra me e mia moglie è stato interessante, se il nostro matrimonio è sopravvissuto a questo può superare molte altre crisi.

Il settore come ha affrontato questo periodo?

Da designer è stato interessante, in tre mesi sono venute a galla molte cose, è stato come un gioco della verità accelerato dalla crisi. Ho potuto vedere la vera natura di una serie di dinamiche lavorative. C’è una situazione di rallentamento totale che ci ha portati tutti a riflettere e a cercare di capire quali erano i malumori che avevamo prima o dare veramente più senso a quello che facciamo. Penso che la crisi del coronavirus sia una crisi che emerge in una crisi più ampia che è quella ambientale.

Quali sono le prospettive?

Dal punto di vista del business tutti hanno cercato di sopperire a quello che fino a quattro mesi fa era l’El Dorado del design, cioè il mondo del contract. Si è cercato direttamente il consumatore finale, sono emerse in maniera chiara le realtà che hanno il coraggio di rischiare per provare ad essere leader e aziende che sono rimaste ferme per paura di andare verso l’ignoto. Per me fare un progetto è ogni volta andare verso l’ignoto. Personalmente ho avuto la fortuna di potermi fermare, non farmi prendere dal panico e capire cosa succedeva. Secondo me le risposte non ci sono ancora, il peggio deve ancora arrivare dal punto di vista economico. Chi è più concreto e punta sulla qualità sopravviverà.

Design ed emergenza che relazione hanno?

C’è stato un momento in cui molti designer disegnavano mascherine o cose del genere in giro per il mondo, mentre io sono stato sempre abbastanza critico nei confronti di questo modo di usare la creatività perché non mi piace fare “design per la paura”. Penso che aldilà del necessario, una cosa è se la sanità pubblica chiede ai designer di risolvere dei problemi precisi, un’altra cosa è inventarsi delle protezioni senza sapere se veramente funzionano. Le trovo delle operazioni quasi autoreferenziali.

Lei ha ideato un progetto legato alla cucina. Ce lo racconta?

Mi sono chiesto come fossero cambiate le nostre giornate durante il lockdown. Ci sono stati tanti rituali che abbiamo riscoperto, per esempio tutti facevano pane, biscotti, dolci. Saremo ingrassati di quattro o cinque chili. Ad un certo punto ho pensato di creare un progetto che potesse dare un pochino di felicità alle persone, volevo donare qualcosa che durasse anche dopo il lockdown. Così ho creato un open project, scaricabile gratuitamente, è composto da un mattarello e da uno stampo per fare i biscotti a forma di tagliere con un manichetto che può essere usato per prendere la marmellata o la nutella. L’ho chiamato “Un biscotto per tutti”, il mattarello ha un pattern particolare che ricorda una ricetta di mia nonna, il bussolà buranelli, dolce pasquale tradizionale di una isola vicino a Venezia. Una persona non deve comprare un oggetto fisico, ma scarica online e lo stampa con una stampante 3D. Ho ricevuto foto da Taiwan, dal Canada, dalla Puglia, da Milano o da Venezia. Veramente ho visto l’entusiasmo della gente nel vedere questo progetto che cresceva e ho avuto l’opportunità di capire come un design possa fare della globalizzazione anche un momento in cui il locale incontra il globale, come una sorta di autoproduzione 2.0 in un oggetto che nasce senza nessun tipo di pretesa economica, con l’unica soddisfazione di vedere le persone felici.