Lo studio di Davide Pedrizzetti è pieno di oggetti raccattati in giro, scelti più per un aspetto funzionale che formale (‘se le due cose coincidono, sono felice’, dice).
Progettista, ma anche papà, che come tanti in questo periodo deve dividersi tra impegni lavorativi e tempo da dedicare ai figli. “Con Anna abbiamo girato e rigirato un portauova di cartone per vedere cosa farne; le forme che si ‘nascondevano’ sono venute fuori così, semplicemente; mentre lei a un certo punto si è (giustamente) stufata io ho cercato di ricavare quante più maschere diverse ho potuto”. Ragionando sul futuro e sulla professione, ammette che le condizioni in cui siamo non lo rendono per nulla facile, ma è tempo di pensare a possibili scenari futuri: “questo ‘tempo sospeso’ e incerto non aiuta. Come dicono tutti ‘nulla sarà come prima’.
A partire dal mondo occidentale consumistico-capitalistico. Il design sarà all’altezza della sfida? Progettare e produrre pensando sempre più al riuso; al riciclo; al riciclo nell’emergenza; al riuso nell’emergenza. Un esempio su tutti: la stampa 3D, che talvolta è percepita come un ‘gadget’ legato allo sfizio modaiolo e non a una grande opportunità (penso al lavoro che si sta facendo nel riprodurre alcune parti dei respiratori), fatta anche di grandi ‘librerie’ open source alle quali attingere nell’emergenza. Ci accorgeremo che non sarà più necessario uno spazio e un tempo fisico determinato per lavorare? Basteranno un computer e una scrivania in casa? Anche in un mestiere come il mio, fatto di quaderni per schizzi, penne, oggetti fisici, piccoli prototipi?
Forse sì, forse ci si dovrà adattare nell’andare all’essenza delle cose, cercare la purezza del segno, senza fronzoli. Forse no, perché il processo creativo è comunque fatto di prove, modifiche, limature, intuizioni, e tanto spazio. Quanto questa possibile ‘smaterializzazione’ del processo creativo (ma anche produttivo, penso al terziario) impatterà sull’ambiente? Vero, meno spostamenti uguale più tempo personale e meno inquinamento (apparente); ma quanta energia bisognerà produrre per supportare l’aumento esponenziale che il ‘traffico dati’ porterà inevitabilmente? E chi lo gestirà, questo traffico dati?
Si ripenseranno le città in modo differente?
Ci riapproprieremo del ‘nostro’ tempo’? Avremo tempo per annoiarci?
Avremo la capacità di adattarci a questa nuova ‘rinascita’ che si spera sia anche sociale?”